Il delitto Notarbartolo

Il delitto Notarbartolo

Rusconi, 1993
ISBN 88-18-12122-7

Cento anni fa si chiamava «maffia». Oggi è «mafia». Esistono altre differenze? La risposta è reperibile ne Il delitto Notarbartolo con il quale Gigi Speroni ricostruisce, in assoluta fedeltà storica, un «giallo» vero, un dramma a forti tinte avvenuto l'1 febbraio 1893. Nel giro di un secolo, la società italiana è cambiata, ma non le circostanze, i moventi e le finalità di un'organizzazione criminale che si oppone frontalmente allo Stato. L'attualità del «caso Notarbartolo» è impressionante.
La vittima fu il marchese Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo e direttore del Banco di Sicilia. Pugnalato sul diretto Sciara-Palermo, venne gettato dal treno in corsa. Mandanti dell' omicidio: sconosciuti. Esecutori materiali: sconosciuti. Le indagini si insabbiarono in un clima di paure, reticenze, omertà.
Integerrimo sindaco della città, il marchese Notarbartolo si era opposto alla dilagante corruzione. C'era quindi una pista: i suoi nemici personali. Leopoldo, il figlio della vittima, prese a indagare. Con coraggio e prudenza, entrò in ambienti dove un insospettabile ferroviere poteva avere rapporti con un capomafia, e dove quest'ultimo stringeva legami con altissimi esponenti della politica e della finanza.
All'epoca, la mafia non era ancora considerata un pericolo sociale. A dare l'allarme fu quel crimine dal quale ebbe origine il primo maxi processo di mafia della nostra storia giudiziaria.


Prefazione

   Giovanni Falcone abitava in Via Notarbartolo. È una casa facile da trovare grazie alla magnolia che sorge accanto all'ingresso, perennemente in fiore per i messaggi di solidarietà che, come bianchi petali, la gente appunta sui rami di quella strana pianta, silenziosa testimone della volontà dei siciliani onesti di ribellarsi al ricatto della mafia.
   Che nel secolo scorso veniva chiamata «maffia» e volle tra le sue prime vittime proprio l'uomo a cui è stata dedicata la via dove andò poi a vivere il magistrato, ucciso assieme alla moglie e agli agenti della scorta.
   Singolari coincidenze che fanno meditare.
   L'assassinio del marchese Emanuele Notarbartolo, già sindaco di Palermo e direttore del Banco di Sicilia, è un truce episodio ormai dimenticato anche se, nel 1893, sconvolse e indignò l'opinione pubblica così com'è avvenuto dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992.
   Fu un delitto di cent'anni fa dalle impressionanti analogie con i giorni nostri: per il clima in cui maturò, il movente che lo provocò, il coperchio che sollevò rivelando inquietanti complicità tra le istituzioni e la maffia, con un deputato alla sbarra in un maxi processo (il primo), che vide 503 testimoni (tra cui tre ex ministri, undici deputati, sette senatori), dopo un'istruttoria con i ritmi incalzanti del giallo, dove la cronaca diventa memoria storica.
   La targa di una via, un albero fiorito, lo stesso tragico destino e la mano omicida di sempre: Notarbartolo come Falcone.
   Diceva Apollinaire:
   «Passiamo, passiamo ché tutto passa
   Spesso mi volterò all'indietro
   I ricordi son corni di caccia
   Il cui suono muore nel vento.»

   E proprio dal lamentoso richiamo di un corno da caccia si inizia il nostro racconto.
   Ma quel suono non dovrà morire nel vento.